Carl Gustav Jung e Hermann Rorschach furono due menti geniali della psicologia moderna. Entrambi affrontarono le loro ricerche con grande coraggio e dedizione strutturando un sistema teorico-clinico che continua ad essere studiato e applicato.
Jung scrisse:
Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interiori […] Mi ci sono voluti praticamente quarantacinque anni per distillare nell’alambicco del mio lavoro scientifico le cose che sperimentai e annotai allora. Da giovane, la mia meta era di fare qualcosa nella mia scienza. Ma poi fui travolto da questo torrente di lava, e il suo fuoco diede nuova forma e nuovo ordine alla mia vita. Queste prime fantasie e quei sogni furono per me come un magma fuso da cui si cristallizzò la pietra che potei scolpire.
Rorschach invece sperimentando il potere delle sue macchie di inchiostro affermò:
Queste immagini di ‘Ade’ tutte nere e funeree si sono generate da se stesse, senza la mia volontà, con mio terrore, unicamente da macchie d’inchiostro”
Entrambi riuscirono a confrontarsi in modo diretto e profondo con le forze interiori dell’inconscio.
Da questo confronto emersero visioni estremamente congruenti che forse antiche sapienze avevano già descritto.
Robert S. McCully, nel suo libro Jung e Rorschach (1988, edizioni Mimesis) è forse il primo autore che mette a confronto i due grandi psicologi. Non solo, ma estende il paragone anche a visioni ancestrali come il concetto di Karma dagli antichissimi testi sacri dei Veda indiani: ossia, semplificando, l’idea che il destino sia determinato dall’interazione di forze interiori.
Rorschach affermava che il suo test può mettere in evidenza il tipo di risonanza intima di una persona, risultato di forze opposte: intratensive e extratensive che agiscono nella psiche e che sono rappresentate dal rapporto delle determinanti nelle interpretazione delle macchie: forma, colore – collegato alle emozioni e agli archetipi (forme tipiche di comprensione, rappresentazione e del sentire) – e movimento (istinti, ossia forme tipiche dell’agire).
Similmente per Jung queste sono forme opposte energetiche dell’essenza umana che sostengono l’individuazione: ossia quel processo innato e naturale di trasformazione interiore attraverso il quale un essere diventa un individuo psicologico.
L’interazione di forze opposte è spesso alla base di visioni sia ancestrali filosofico-religiose, sia scientifiche, nella rappresentazione del funzionamento dell’essere umano. Nel linguaggio psicologico diciamo che è in atto una mediazione tra l’Io e l’inconscio grazie alla funzione trascendente e alla spinta congiunta di istinti e archetipi (interpretazioni “movimento” e “colore” nelle macchie di Rorscharch).
L’interazione di due forze a livello psichico è descritto anche da Wilfred Bion. Per lo psicoanalista britannico la madre facilita la formazione della psiche del bambino attraverso la funzione di dare senso a ciò che viene vissuto dal neonato nel puro vissuto interno di sensazioni fisiche e immagini (allucinazioni). La madre avrebbe una funzione di secondarizzazione o simbolizzazione: dal magma dell’esperienza sensoriale dal quale il bambino è vissuto e che genera tensioni che lui scarica con il pianto, la madre rappresenta la consapevolezza attraverso il ripetersi quotidiano del dare senso ad un elemento non ancora pensabile (che lui chiama alfa) rendendolo (beta) pensabile.
- Le tavole di Rorschach permettono la manifestazione di immagini attraverso la formazione del simbolo.
- Attivano gli archetipi indipendentemente dalla volontà.
- Il tutto in una continua mediazione con l’Io che ha funzione di testimone e integratore.
La stessa funzione possiamo ritrovarla nelle immagini generate dal confronto con le macchie del Rorschach: l’individuo si confronta con la macchia d’inchiostro sulla quale può liberamente proiettare il magma informe inconscio che ruota attorno ad un archetipo da cui è vissuto e che si è attivato. L’archetipo poi trova una realizzazione, una immagine attraverso cui manifestarsi, che acquisisce senso ed è portatrice di simboli. Grazie a questo processo il test proiettivo, oltre ad avere funzione diagnostica per chi lo somministra, può diventare il luogo della manifestazione del cosiddetto “guaritore interno” che riporta fluidità psichica riattivando il processo individuativo. Una volta emerse, le immagini non possono essere ignorate, come per i sogni. In questo senso le tavole di Rorschach possono essere uno stimolo di partenza ad un lavoro di immaginazione attiva
- Forze archetipiche vissute ripetutamente fin dall’alba della coscienza hanno strutturato la psiche.
- Le tavole del Rorscharch sono in grado di riattivare gli archetipi.
- Nei miti sta la documentazione di ciò che ci ha maggiormente influenzato (molti miti derivano dalle pitture paleolitiche).
- Fondamentale il confronto tra principio maschile e principio femminile (rapporto diverso con gli istinti – la conoscenza)
Per capire meglio questo processo ci viene in aiuto la paleopsicologia. Se ci confrontiamo con i nostri antenati vissuti più di 40 mila anni fa, che è un tempo profondo e le pitture e sculture che gli uomini reiterarono per circa 30 mila anni, fino al passaggio al Neolitico, ci possiamo rendere conto di come è stata strutturata la nostra psiche.
Ciò che ha spinto l’uomo ad immergersi nel ventre della terra, le grotte, al buio e senza riferimenti, per chilometri, alla sola luce di una piccola lanterna di grasso animale, è senza dubbio una necessità. È stato inoltre ormai da tempo dimostrato che queste esplorazioni e le rappresentazioni murali che ne derivarono non intendevano rappresentare scene di vita quotidiana o come riti per propiziare una buona caccia.
All’epoca, il principio femminile-materno originario del tutto, era naturalmente divinizzato (la Terra dà origine alla vita, l’acqua dalle scaturigini di roccia, gli animali partoriscono, le donne mettono alla luce i bambini). Possiamo immaginare l’uomo immerso in una partecipation mistique al tutto, esperienza che per noi oggi è possibile solo parzialmente: attraverso la trance, utilizzando dispositivi elaborati come le tecniche utilizzate dagli sciamani, l’tizzo di sostanza psichedeliche o la Respirazione Olotropica. Tutti supporti funzionali a riattivare una dimensione nella quale l’Io fa un passo indietro, assumendo la posizione del testimone. Le funzioni della coscienza e dell’inconscio era già ben presenti e strutturate ma i loro confini probabilmente molto meno definiti. Per questo motivo l’Io, funzione prima della coscienza e nella quale noi tutti ci identifichiamo quasi totalmente, non era così strutturata, ciò non esclude che ci fosse un profondo senso di consapevolezza da parte dell’uomo.
Questo modo di appercepire la realtà dei nostri antenati è probabile che ad un certo punto abbia necessitato, come scrive McCully, un riequilibrio delle forze in gioco da parte del principio maschile. Questo sforzo è rappresentato dal processo di discesa negli inferi e non avviene per scissione o negazione, ma in un confronto diretto con l’inconscio e il principio materno originario (questo lavoro si ripropone ancora oggi molto spesso nel percorso di analisi personale ed è stato affrontato in solitudine e sofferenza da tutti i pionieri della psicoanalisi, Jung e Rorschach compresi).
Tutto ciò si concretizzò, per l’uomo del Paleolitico, attraverso un vero e proprio processo individuativo (per differenziarmi, mi fondo e poi rinasco: processo alchemico) e nella generazione di una quantità di immagini incredibili, soprattuto animali (qui si nota la similitudine con ciò che il Rorschach suscita nelle persone).
Tutto ciò avvenne nelle grotte, nel confronto con ombre e forme rocciose, nel ventre materno, in un ritorno alla scaturigine originaria, per dare vita alla coscienza di sé e strutturare l’Io pensante attraverso la costruzione di immagini animali che rappresentano la continua tensione tra maschile e femminile e creare in questo modo i miti fondanti la cultura dell’umanità: come ad esempio il mito del Minotauro, nato dal confronto del femminile col toro e già rappresentato nel Paleolitico all’interno della grotta Chauvet dove si trova il seguente pendente di roccia:
in questa rappresentazione si può notare la figura di un toro che sovrasta la pancia, il pube e la vulva di una donna, appena accennate le gambe e del tutto assente il resto del corpo.
Incredibilmente lo si può mettere a confronto con diverse opere di Picasso che rappresentano questa scena, in particolare il dipinto del 1936 “Dora e il Minotauro”, notandone le evidenti somiglianze: la posizione del Minotauro rispetto alla donna, la centralità del muso animale e della vulva della donna. Tuttavia Picasso non vide mai il pendente di roccia della grotta Chauvet, scoperta solo nel 1994. Le immagini fondanti i miti sono depositate nel nostro inconscio e spesso gli artisti hanno un accesso privilegiato a tali fonti.
Noi oggi siamo sempre in cammino nel processo individuativo, ma forse il nostro compito è il ritorno all’origine, all’inconscio. Destrutturando tutto ciò che abbiamo costruito attraverso la specializzazione della coscienza, nella quale siamo ormai troppo identificati e ritrovare quei principi di fluidità e permeabilità che appartenevano ai nostri antenati.
Fabrice Dubosc in “Approdi e Naufragi” cita Giambattista Vico:
Come la metafisica razionale ci insegna che l’uomo diventa tutte le cose comprendendole, la metafisica immaginativa mostra che l’uomo diventa tutte le cose non comprendendole… perché quando non le comprende diventa come loro trasformandosi in esse.
Qui ci viene in mente anche tutta la psicologia transpersonale, Grof e le esperienze registrate nelle sedute di Respirazione Olotropica nelle quali spessissimo il vissuto di riattraversare la propria nascita e la trasformazione in animali è tanto presente.