La psicoterapia attraverso il cavallo
presupposti teorici.
Il lavoro di studio, ricerca e traduzione, come studente universitario e assistente al professor Franco Borgogno, è stato sicuramente il tempo e lo spazio all’interno dei quali ho cominciato a strutturare le basi teoriche che ora riconosco come le fondamenta all’approccio, al modo di essere psicologo e psicoterapeuta, che ho costruito poi.
Negli anni novanta ho potuto seguire il professor Borgogno nello studio e nella rivalutazione di psicoanalisti pionieri come Paula Heimann, Sandor Ferenczi, Georg Groddeck e Frieda Fromm Reichmann. Pionieri non solo teorici del pensiero psicoanalitico, ma esempi sul campo del come essere terapeuti, per il modo in cui si sono occupati di pazienti con sofferenze profondissime e per il coraggio che hanno avuto di condividere la loro esperienza clinica vista dall’interno, ossia dal luogo in cui le cose accadono, in particolare al terapeuta. Inoltre, va sottolineato quanto l’attenzione di questi pionieri si sia focalizzata sul paziente nella sua totalità psico-somatica, iscrivendo il corpo reale nell’ambito di indagine e cura come materia viva e presente e come ponte per la comprensione dei processi inconsci. Questo atteggiamento è particolarmente importante nel lavoro di psicoterapia attraverso il cavallo, dove grande attenzione è posta (parafrasando Borgogno) ai meta-messaggi dei tre attori: terapeuta, cavallo e paziente, ovvero ai messaggi che non costituiscono la comunicazione fondamentale esplicita, ma altre comunicazioni che, senza averne coscienza, vengono trasmessi: con il tono, le scelte del linguaggio, l’atteggiamento e le risposte corporee. Questo sguardo, sempre presente nella mia pratica clinica, pone particolare attenzione ai codici comunicativi dell’animale, che vanno interpretati in funzione di ciò che il paziente può dire di sé attraverso il corpo dell’altro, in questo caso il cavallo.
La qualità di tale attenzione è sicuramente alla base dello sguardo clinico attivato nel setting che si propone ad un paziente che decida di fare un percorso psicoterapeutico col cavallo come mediatore. E di mediazione si parla poiché è un po’ come trovarsi in una consultazione etnopsicoterapeutica, così come la definisce Tobie Nathan, dove diversi mondi si incontrano, parlano lingue differenti, attingono i loro modelli da regioni lontane eppure possono trovare una mediazione che conduca a sintonizzare un ritmo, il passo e il respiro, e svelare un senso, riattivando la vita.
All’interno di questo contesto plurimo assume un’importanza fondamentale per me l’elasticità della tecnica che Ferenczi propone nel 1928 e che si riferisce ad una profonda qualità di atteggiamento relazionale. Questo concetto ha gettato in me le basi sulle quali si è costruito man mano il mio lavoro, mi ha permesso di cogliere il potenziale psicoterapeutico nell’incontro con i pazienti attraverso la mediazione del cavallo, cavalcando l’onda lunga che hanno generato gli studi e le riflessioni cliniche di Ferenczi, ma che ho poi ritrovato riflessi nel pensiero degli Indipendenti britannici, “nella loro filosofia e nel metodo descrittivo e empiricamente esplorativo, permeato dal gusto dell’azione sperimentale seduta dopo seduta. […] Peraltro, nel corso della loro esperienza, essi ben presto si trovano altresì più fiduciosi nei confronti del loro inconscio e dei nuclei sani dell’inconscio del paziente, con un’immagine sullo sfondo di un Sé competente a livello relazionale[…]” (dalla prefazione di Borgogno a Erik Rayner, Gli Indipendenti nella psicoanalisi britannica, 1995, Raffaello Cortina Editore p IX, XV).
Nella psicoterapia attraverso il cavallo si aprono nuovi orizzonti relazionali e terapeutici, il Sé del paziente e quello del terapeuta possono percepirsi e comprendersi attraverso la mediazione dell’animale. Ciò agisce direttamente su dinamiche psichiche legate all’attivazione simbolica e alla percezione immaginativa all’interno di una reciproca interazione. È un processo prevalentemente inconscio, ma immediatamente percepibile: ad esempio nella qualità relazionale del paziente, nella tensione o distensione muscolare, nella sua capacità di affidarsi al terapeuta e al cavallo, che è immediatamente riconoscibile nella fluidità della bascula (come spiego più avanti). L’incontro del Sé del terapeuta e del paziente è inoltre evidente attraverso la qualità della presenza del cavallo, della sua attivazione corporea, scomponibile in decine di indicatori sottili, anche qui fondamentali risultano lo sguardo e la tensione muscolare o il movimento e posizionamento della coda e degli orecchi, così come la posizione e il movimento dell’incollatura, tra le tante altre cose. E infine l’incontro del Sé del terapeuta e del paziente lo si ritrova nell’autoanalisi costante che il terapeuta deve fare del proprio controtransfert psicosomatico in corso, durante lo svolgimento della seduta, dunque delle proprie sensazioni, pensieri e immagini che si presentano alla mente, oltre alla qualità della propria energia e presenza. Come ho scritto nella tesi di specialità in psicoterapia: è la madre che accompagna il bambino, attraverso la relazione primaria, e facilita l’integrazione della psiche e lo sviluppo della coscienza. Così fa il cavallo, essendo portatore simbolico e attivatore somatico di aspetti diversi legati alla madre, primo fra tutti la funzione di holding.
Il cavallo propone una nuova modalità di rivivere la relazione primaria, di re-installare il ritmo, la ripetitività creativa che accede alla dimensione inconscia, attraverso un vissuto emotivo estremamente legato all’esperienza contingente, aprendo dunque nuove possibilità, rompendo il cerchio senza fine imposto dalle difese della coscienza. E tutti gli Indipendenti britannici, come Balint, Winnicott, Bowlby e più esplicitamente Bollas, sottolineano come strutture e contenuti mentali possono essere invitati a crescere e svilupparsi, o all’opposto possono essere estirpati, annullati o intrusi da risposte ambientali primarie non adeguate. Un esempio fra tanti (per riprendere una funzione prima appena accennata) nella psicoterapia attraverso il cavallo è l’uso terapeutico del movimento basculante nel passo. Il cavallo in sostanza si muove facendo oscillare in avanti e in dietro il suo lungo collo creando intorno al baricentro, sopra il quale è seduto il paziente, attraverso il movimento passivo, un’onda sinusoidale che attraversa tutto il sistema nervoso, risalendo lungo la colonna vertebrale fino all’encefalo. Questo movimento riproduce la sensazione di portage e holding materna, armonizza il sistema nervoso, rilassa profondamente, ma soprattutto agisce psichicamente, attraverso il corpo sulle parti sane del Sè, risvegliandole, come nuovi germogli fino a quel momento silenti o inibiti. Tutto ciò può però avvenire solo in uno spazio protetto, un temenos.
Veniamo dunque all’influenza junghiana che ha caratterizzato la mia formazione come psicoterapeuta e che è un’ulteriore presupposto teorico che sostiene l’attività clinica con il cavallo. Innanzitutto per l’attenzione posta alle capacità immaginative e simboliche nel paziente e non solo quindi alle competenze psicomotorie o cognitive e al potenziale riabilitativo così tanto evidenziato nell’ippoterapia. Solo se si riesce a riconoscere che la relazione tra il paziente, il cavallo e il terapeuta veicola un significato che ha una portata molto complessa, archetipica oserei dire, allora ci si ritrova all’interno del temenos psicoterapeutico. Questa consapevolezza era già stata segnalata dai nostri antenati nel Paleolitico attraverso le straordinarie opere d’arte che ci hanno lasciato all’interno di alcune grotte mirabilmente dipinte e nelle quali il cavallo è sempre il soggetto tra i più rappresentati.
Connesso alla fecondità e al rinnovarsi della natura, il cavallo è sempre stato collegato ai principi base più arcaici: fuoco, acqua, terra, aria e al regolare ciclico scorrere del tempo. È un dispensatore di nuova vita, nei miti fa sgorgare sorgenti con un colpo del suo zoccolo, rigenera la natura e risveglia la vita. In termini junghiani è lo psicopompo per eccellenza, funzione trascendente tra coscienza e inconscio.
Tutto il lavoro psicoterapeutico attraverso il cavallo tiene sempre presente la portata profondamente trasformativa di questa relazione per il paziente (ma anche per il terapeuta) e di quanto le esperienze primarie per tutti i tipi di pazienti che possono essere presi in carico, attraverso questo dispositivo di cura, sia fondamentale, così come la possibilità di riattraversarle, trasformandole. Anche Stanislav Grof e la psicologia transpersonale sono una guida utile a questo tipo di lavoro, per i suoi studi sugli stati non ordinari di coscienza, che spesso si manifestano in modo più o meno eclatante durante le sedute e per come la relazione col cavallo può lavorare sul trauma e sul traumatico, portandoci alle radici più profonde di questi tipi di esperienze e fornendo un validissimo aiuto nella ricomposizione del Sé frammentato attraverso il lavoro sul corpo.
Infine ma non ultimi, gli insegnamenti ricevuti sulle tecniche di rilassamento e meditazione del monaco zen Thich Nath Hanh al monastero del Plum Village e il lavoro sulla consapevolezza di ciò che secondo lui avviene in quattro domini fondamentali: il corpo, le emozioni primarie, la vita affettiva e i meccanismi mentali che la producono. Il cavallo ci aiuta a divenire consapevoli del nostro corpo, delle sensazioni, della mente e degli oggetti mentali, il che significa riprendere contatto con tutti gli aspetti della nostra vita fisica e psichica, e imparare a prenderci cura delle nostre sensazioni ed emozioni più negative e dolorose senza rinnegarle o rimuoverle.
Autori di riferimento:
Sandor Ferenczi, Diario Clinico, 1988, Raffaello Cortina Editore.
Franco Borgogno, Psicoanalisi come percorso, 1999, Bollati Boringhieri.
Erik Rayner, Gli indipendenti nella psicoanalisi britannica, 1995, Raffaello Cortina Editore.
Georg Groddeck, Conferenze psicoanalitiche, 2005, UTET.
Stanislav Grof, Respirazione olotropica, teoria e pratica, 2010, Apogeo.
Thich Nath Hanh, Trasformarsi e guarire, 1992, Ubaldini Editore.
Carl Gustav Jung, Pratica della psicoterapia, Opere vol XVI, Bollati Boringhieri.