Mentre studiavo per diventare psicoterapeuta passai alcuni giorni a casa di una cara amica già analista junghiana. Ad un certo punto mi invitò a visitare il suo temenos, lo studio clinico, lo spazio sacro per un terapeuta. Rimasi estasiato, le pareti erano tappezzate di oggettini che, messi insieme, potevano rappresentare praticamente tutto il mondo. C’erano sassi, pietre colorate, cristalli e biglie, legni e legnetti, vetrini, tutto il mondo inanimato. Su altri scaffali si trovavano animali fantastici, chimere come cavalli alati, draghi e mostri di ogni genere. Poi serpenti, pesci e tutto il regno animale, molti felini, cavalli e tanti tipi di uccelli. Alberi, siepi e ponti. Torri, castelli e case. Ovviamente c’erano anche tanti personaggi umani e oggetti vari di tutti i tipi. Un mondo intero su scaffali, la stanza dei giochi ideale. Al centro stavano due contenitori rettangolari, uno con sabbia bagnata e un’altro con sabbia asciutta.
Incantato chiesi a cosa servisse tutto quel materiale e se lei fosse per caso una collezionista. La mia amica mi spiegò che si trattava della stanza della terapia della sabbia, una tecnica terapeutica sviluppata in Svizzera da un’allieva di Jung, Dora Kalff e utilizzata sia per gli adulti che per i bambini. Sostanzialmente il paziente è invitato a scegliere una sabbiera e poi a rappresentare, manipolando e usando oggetti di sua scelta, una scena, in modo libero e spontaneo. È un metodo espressivo che permette di calarsi nel profondo della psiche, lasciando che emergano le immagini. L’Io si spoglia, la parola non è più importante e neppure i pensieri, sono le mani e lo sguardo i veri protagonisti, non c’è un’intenzione cosciente e l’essenza può manifestarsi, seguendo il proprio stato d’animo e le proprie emozioni che prendono forma. Attraverso il lavoro con la sabbia ci si avvicina al Sè, al centro della propria personalità e a ciò che sta per svilupparsi nella persona a livello psichico, in senso prospettico. Avere uno spazio espressivo nei momenti di crisi può a volte risultare veramente molto importante e il gioco della sabbia permette questo.
La sabbia che ne risulta è il risultato dell’interazione tra l’azione della coscienza e dell’inconscio, l’Io fa spazio al profondo, lo accoglie e gli permettere di assumere una forma nella realtà. Quando realizziamo una sabbia ci confrontiamo con la nostra Anima.
Attraverso la Sandplay è possibile anche riconoscere e lavorare sui traumi, ciò che non può essere detto, ciò a cui è ancora impossibile pensare, poiché nella psiche si può entrare in contatto con un bacino risanante, ripristinando lo stato precedente la ferita subita. Quando il processo terapeutico funziona correttamente scioglie le energie sequestrate dai complessi psichici e permette in tal modo al processo individuativo di ripartire e all’Io di rigenerarsi e rinascere.
L’incontro con la stanza delle sabbie e la spiegazione del lavoro che può essere fatto con questo metodo, attivarono pienamente il mio interesse, tanto che dopo essere diventato psicoterapeuta ho seguito un corso per specializzarmi in questa tecnica sempre all’interno della mia scuola, la Li.S.T.A. di Milano. Da allora utilizzo regolarmente la Sandplay con molti pazienti, integrandola spesso con la psicoterapia.